Villa Griffone

(nota storica a cura di Giancarlo Dalle Donne)

Nella seconda metà del ‘300 un’ampia porzione di territorio intorno a dove attualmente sorge Villa Griffone era proprietà di un importante nobile bolognese, dottore in legge e coinvolto nelle attività del governo bolognese: Ugolino Galluzzi.

Grazie a un atto notarile del 18 dicembre 1378 veniamo a sapere che Ugolino (i cui possedimenti principali gravitavano intorno ad Argelato) concesse in affitto le sue 44 tornature di terra a Pontecchio, con due case, una “cupata magna e balchionata”, l’altra “ruinosa”: si tratta dell’attuale Villa Griffone e di quella corrispondente alla casa dei Celestini, proprio presso la famosa collina. Il toponimo, allora, veniva indicato in Portesana.

Da dove proveniva il nome?

A Pontecchio, fin dalla seconda metà dell’XI secolo, l’Ospitale di San Nicolò deteneva ampi territori, tra cui, molto probabilmente le 44 tornature successivamente passate a Galluzzi, nell’ottica della razionalizzazione dei propri beni terrieri (attraverso compravendite e permute).

L’Ospitale di San Nicolò di Pontecchio dipendeva dal Monastero di San Salvatore di Vaiano, nella valle del Bisenzio. Fondato nel 1073 dai monaci benedettini cluniacensi, San Nicolò passò ai vallombrosiani nel 1090. Nel 1086 sono documentati beni a Pontecchio, tra i quali le terre della Portesana.

Ma perché il nome Portesana?

All’interno dell’ordine cluniacense, il monastero (e priorato) di San Benedetto in Portesana (in Lombardia, a Trezzo sull’Adda), fu fondato nel 1088. Il toponimo a Pontecchio appare così essere un omaggio agli importanti confratelli lombardi (se non addirittura a indicarne una dipendenza).

Nel 1368 Antonio Galluzzi fece costruire per i monaci Celestini, appena stabilitisi a Bologna, chiesa e monastero.

Seconda metà del ‘300: donazioni (anche nel ‘400): si giunse così alla separazione dei due territori: ai monaci Celestini la parte più a monte, ai successori di Galluzzi la zona intorno alla quale oggi sorge villa Griffone.

Da quel momento, le due proprietà rimasero divise, e i monaci Celestini (che diedero poi il nome alla collina dei Celestini) rimasero proprietari fino alle soppressioni ecclesiastiche di epoca napoleonica.

Prima della metà del ‘500 la Portesana è di proprietà di un notaio bolognese, Vincenzo Solimani, che nel 1553 vendette quelle 50 tornature scarse (con casa e torre colombara) a un altro personaggio bolognese illustre: Aloisio Asinelli.

All’inizio del ‘600 la proprietà (podere con casa da contadini) passa al cittadino bolognese Girolamo Torri: nella seconda metà del secolo la moglie di un altro Girolamo, Margherita Laurenti, alla sua morte la riceve in eredità.

Nel 1672 Margherita si risposa, in seconde nozze, con Giuseppe Griffoni.

Morti entrambi, quella che ormai veniva chiamata il Griffone passò nel 1730 al nipote di Margherita, Antonio Gini, che però se ne sbarazzò subito, nel 1733. La acquistò Gio Domenico Bacialli, notaio originario di Camugnano.

Questa la descrizione: “edifici colonici ruinosi, con piccola torre già disfatta, o ruinata”.

Nell’atto notarile si specifica che il luogo era detto “Griffona”, “ma anticamente era detto della Torretta, poi del Santa [dal nome del colono], e ancora Portesana”.

Nel corso di quasi tutto il ‘700 rimase di proprietà della famiglia Bacialli, e nella seconda metà del secolo si avviò la ricostruzione del complesso, includendo, nello stesso corpo, abitazione padronale e abitazione colonica unite.

Nel 1782, quando passò al sacerdote Giuseppe Bacialli, venne così descritta:

“Casa per il colono unita all’abitazione padronale (con ingresso a levante, di quattro piani, essendovi nel pian terreno il camino ed una stanza, nel piano superiore due stanze da letto, con li granari sopra, siccome sottoposto alla stanza del piano terreno evvi la cantina, il tutto di fabbrica in ottimo stato, e massima parte nuova”. L’anno successivo Don Bacialli costruì l’oratorio, dedicato a S. Croce, tuttora esistente; inoltre, “vi si è aggiunto un pezzo di portico, e si sono fatti altri risarcimenti”.

Con l’acquisto da parte dell’avvocato Bolognese Vincenzo Patuzzi (1789), all’inizio dell’800 si avviò un’importante trasformazione: la separazione tra casa colonica (che finì al Griffone nuovo, ex casa dei Celestini, ceduta in seguito alle espropriazioni napoleoniche) e il casino padronale. Il predio Il Griffone (di circa 44 tornature, “arborato, molto vidato, moredo, fruttifero, querzedo, prativo”) comprendeva inoltre stalla, rimessa, portico, stalla de’ bovini con suo fienile, forno, pollaio, porcile, pozzo in cattivo stato, cappellina dedicata a S. Croce, cisterna e suoi accessori”.

Nel frattempo Domenico Marconi (di Capugnano), e fondatore delle fortune della famiglia, iniziava a costruire le basi del suo patrimonio fondiario, proprio da quelle parti, nel decennio 1820-1830: inizialmente a Montechiaro, dove fece i primi acquisti nel 1825, successivamente a Pontecchio, dove acquistò due poderi dalla contessa Rossi. E ancora a Montechiaro, nel 1836, dall’avvocato Gaetano Bottrigari.

Prima della sua morte, avvenuta l’11 aprile 1848, Domenico aveva potuto vedere gli inizi delle carriere dei tre figli maschi: Giovan Battista, indirizzato verso l’avvocatura, Giuseppe, che aveva iniziato come “studente ecclesiastico”, Arcangelo verso la carriera ecclesiastica.

Quando poi morì, lasciò il suo patrimonio fondiario, tra Pontecchio e Montechiaro, ai tre figli maschi, con obbligo di dote a Luigia, l’unica sorella rimasta.

I tre fratelli Marconi vivevano insieme tra Montechiaro e Bologna.

Ma proprio l’anno dopo la morte del padre si presentò loro una ghiotta occasione, quella di acquisire a buon prezzo una tenuta confinante…

Il proprietario del Griffone, l’avvocato Giuseppe Ulisse Patuzzi era stato “interdetto per vizio di mente”, i suoi beni sequestrati, e la tenuta, che comprendeva quella che ormai era diventata una prestigiosa villa, era stata messa all’asta.

L’inventario redatto già nel 1848 descriveva Il Griffone in questo modo:

Piano terreno, con entrata da levante: loggia d’entrata, camera detta dei pittori, camera del camino, 2 cucine, dispensa; Piano superiore: loggia, 4 camere; 2° piano: 2 camere, bigattiera (la Stanza dei bachi) e granaio.

La mattina del 3 marzo 1849, si presentarono al casino di campagna del Griffone per partecipare all’asta i signori: Giovan Battista Marconi, avvocato, Francesco Gualandi, ingegnere, Gaetano Garelli e Enrico Corsini, entrambi possidenti.

Base d’asta: 5.998 scudi. Dopo una lunga trattativa l’avvocato Marconi si aggiudicò la tenuta del Griffone, per 8.400 scudi, e 50 bajocchi.

Il “verbale di immissione in possesso” fu stipulato il 27 marzo dello stesso anno.

Con quell’acquisto, la famiglia Marconi si era ormai inserita a pieno titolo “tra la più qualificata borghesia agraria bolognese, incuneandosi anzi tra le più antiche e prestigiose tenute e ville nobiliari della prima valle del Reno” (Giacomelli – Bertocchi).

Ma ancora non era sufficiente, così nel 1852 il Griffone (ancora di proprietà indivisa di tutti e tre i fratelli) venne ampliato, con la costruzione delle due ali laterali: risultava così composta da 9 camere al pian terreno e altrettante al primo piano, e 5 al secondo piano.

Quando poi nel 1855 Giuseppe era in procinto di sposarsi con Giulia Renoli, si arrivò alla suddivisione di tutti i beni dei fratelli. Il Griffone toccò a Giuseppe.